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Il medico della peste - di Tiziano Baccili e Tommaso Dell'Orfanello

  

Da qualche mese a questa parte con la pandemia di coronavirus sembra di essere tornati nel medioevo ai tempi della peste. Il costume completo del medico era caratterizzato da un lungo abito in cuoio Marocchino cerato per evitare che i batteri si attaccassero all’abito, guanti e un cappello a falda larga per evidenziare la sua professione; il medico teneva infine in mano un bastone per esaminare i pazienti senza toccarli La caratteristica che impressionava di più era la lunga maschera a forma di becco. L’abito del medico della peste è uno dei simboli più riconoscibili della “Morte Nera”.

L’origine della maschera risale probabilmente alle prime epidemie che colpirono l’Europa tra il 1347 e il 1353, e che sterminarono circa un terzo della popolazione complessiva del nostro continente. I medici si vestivano in questo modo perché secondo loro il morbo si trasmetteva per via aerea (escrementi riversati in strada, acqua stagnante ecc..) e da inalazioni di aria di corpi in putrefazione. Anche questo abito con le maschere ci riporta al giorno d’oggi: come i medici della peste portavano la maschera a becco, così oggi i nostri medici portano le mascherine; tuttavia ora anche i semplici cittadini le portano per evitare di infettare e di essere infettati.

A differenza del medioevo ora ci sono vari tipi di mascherine. La maschera del medico della peste aveva un lungo becco all’interno del quale venivano inseriti fiori secchi, lavanda, timo, mirra, ambra, foglie di menta, canfora, chiodi di garofano, aglio e spugne imbevute di aceto, tutti elementi i quali avrebbero dovuto ridurre al minimo il rischio di contagio per la respirazione di cattivi odori (la teoria dei miasmi) da parte dei medici.

I medici della peste erano dei dipendenti pubblici assunti dai villaggi o dalle città quando una pestilenza colpiva la popolazione. I loro compiti principali erano due: alleviare le sofferenze degli appestati e compilare il libro pubblico in cui venivano registrate le ultime volontà dei moribondi. Durante le fasi acute delle epidemie erano gli unici a poter girare liberamente per le città, nelle quali solitamente vigeva il coprifuoco perenne con pena di morte, e si occupavano di compilare anche i registri funebri per avere una stima completa della conta dei morti.

di Tiziano Baccili e Tommaso Dell'Orfanello (3CITT)

Pubblicato il 27-02-2023